LA DANZA DELLE API

Le piccole mani di Patrick presero nuovamente la forchetta e punzecchiarono per l’ennesima volta i pezzetti di manzo del gulash nel proprio piatto. Galleggiavano nel brodo da ormai mezz’ora e, nonostante gli sforzi della madre, né areoplanini né trenini carichi di gulash potevano rendere appetitosi quei bocconi.

“Dov’è il nonno?” chiese Patrik a sua madre. La donna, ormai stanca di tentare di far mangiare suo figlio, si era alzata e aveva iniziato a lavare i piatti e rispose al suo bambino con un sospiro e una scrollata di spalle. Erano giorni che il nonno di Patrick non si vedeva la sera a cena. Si era rinchiuso nel suo studio e si poteva capire che era ancora al suo interno solo dal suono della brace nel fornello della sua pipa che sfrigolava leggermente come legna in un camino. Patrick non aveva mai provato a disturbare suo nonno mentre era nello studio. “Chissà a cosa starà lavorando!” Si chiedeva Patrick cercando di ricordare le numerose stramberie che aveva visto l’unica volta che aveva sbirciato nello studio del nonno. L’ora di andare a dormire si avvicinava e il piccolo Patrick prese una solenne decisione: non avrebbe più mangiato un boccone di gulash, sachertorte o käsespätzle fino a quando non avesse capito cosa stesse facendo suo nonno. Il vento muoveva i grossi rami di abete bianco fuori dalla finestra della cucina e la luce della luna proiettava grandi ombre sinistre sul muro alle sue spalle. La casa di campagna dove viveva il piccolo Patrick era un sogno di giorno, un mondo inesplorato dove vivere qualsiasi tipo di avventura, ma di notte si trasformava in un incubo, un oscuro reame popolato da tutti i peggiori mostri degni delle migliori favole dei fratelli Grimm. Il vento smise di soffiare. Patrick prese coraggio. Si alzò da tavola e percorse il lungo corridoio che dalla cucina portava alle scale che conducevano al primo piano. Salì i gradini ad uno ad uno cercando di reggersi al corrimano, troppo alto per lui. A ogni gradino che saliva la sua curiosità cresceva e con essa la paura per quella che sarebbe stata la reazione del nonno. Ultimamente era di malumore e non aveva più voglia di giocare con Patrick. Non gli mostrava più gli insetti stecco nella sua teca di vetro, non gli spiegava più il perché i serpenti facessero la muta, non lo aiutava più a scoprire i segreti che si nascondevano dietro i misteriosi grillo talpa. Era una settimana ormai che rimaneva chiuso nel suo studio tutto il giorno a leggere lettere e fumare la pipa. Patrick arrivò lentamente alla porta dello studio del nonno. Bussò. Nessuno rispose. La porta era socchiusa e dal piccolo spiraglio si poteva notare una luce di lumino accesa. Patrick prese fiato, come quando voleva immergersi sott’acqua durante il bagno, ed entrò. La luce del lumino sopra la scrivania dipingeva la stanza di sfumature arancioni e ocra, dando un nuovo volto ai barattoli con dentro ogni tipo di animale stravagante poggiati sugli scaffali. Si avvicinò alla scrivania e Patrick notò una pila di carte poggiata sopra di essa con una targhetta metallica utilizzata come fermacarte. Sopra la targhetta Patrick avrebbe letto “Dr. von Frisch”, ma era troppo piccolo per poter saper già leggere.

“Nonno perchè non vieni a mangiare?” chiese il piccolo Patrick dolcemente al nonno seduto su una poltrona di velluto dietro l’enorme cumulo di fogli di carta.

“Non ora piccolo, il nonno è occupato.” Rispose l’uomo in un misto di dolce freddezza.

“E perché?”

“Perché ha tanto lavoro da fare.”

“E perché?”

“Perché i suoi studi non vengono compresi dai suoi colleghi.”

“E perché?”

“Perché i suoi colleghi sono degli ignoranti!”

“E perché?” chiese insistentemente Patrick. Il nonno alzò un sopracciglio e fece per rispondere nuovamente ma iniziò a pensare che questo “gioco dei perché” sarebbe potuto continuare all’infinito se non avesse optato per un’altra risposta.

“Vedi piccolo mio, quando si scopre qualcosa di nuovo la prima reazione, spesso, è di paura. È quello che è successo quando ho presentato ai miei colleghi le mie scoperte.” prese una boccata di fumo dalla pipa. “O di invidia.” Disse a voce più bassa parlando fra sé.

“E perché hanno paura? Che cosa hai scoperto nonno?!” Disse eccitato Patrick sedendosi a gambe incrociate sul pavimento. L’uomo espirò il bianco fumo della pipa e fece una lunga pausa. Guardò prima le lettere piene di critiche, poi guardò il suo quadernino pieno di disegni e schemi e in fine guardò suo nipote pieno di ammirazione per quell’uomo anziano e austero. Sospirò e riprese a parlare con voce calma.

“Piccolo Patrick tutti gli animali comunicano, sai? Si parlano in continuazione e si scambiano ogni tipo di messaggio. I cani abbaiano per dirsi tante cose, ad esempio per dire qual è il proprio territorio. Ci sei Patrick?” Il bimbo annuì vigorosamente e aggiunse con tono solenne: “Il gatto miagola!”

“Sì, esatto, bravo piccolo.” il nonno aggrottò la fronte pensando che il discorso potesse essere troppo complesso per il suo nipotino. Poi alzò lo sguardo verso quel suo viso illuminato di curiosità e continuò.

“E il topo?”

“Squittisce!”

“E il cavallo?”

“Nitrisce!”

“E l’ape?”

“E l’ape…ronza?” L’uomo anziano rise aggiustandosi gli occhiali tondi e scuotendo la testa.

“Si Patrick, ronza ma non solo.”

“E che fa?”

“Danza.” Disse lo studioso muovendo le mani in una serie di piccoli cerchi a mezz’aria. Patrick era completamente rapito, come se le api stessero danzando realmente davanti ai suoi occhi.

“Nell’alveare ci sono due tipi di api. Ci sono le api che vanno a cercare il cibo e che, come tanti pirati, vanno all’avventura per cercare un bel bottino da riportare a casa.”

“Bottino?”

“Un tesoro! Il nettare che prendono poggiandosi sui fiori. Queste sono dette bottinatrici.” Disse il nonno gesticolando energicamente nel tentativo di attirare l’attenzione del nipote.

“E poi ci sono le nutrici che si occupano di dar da mangiare il nettare a tutte le api. Quando una bottinatrice trova del cibo torna subito all’alveare per comunicarlo alle sue sorelle! Questo è quello che ho scoperto.”

“E come fanno?” chiese Patrick cercando di attingere fino all’ultima goccia di concentrazione.

“Danzando! Fanno due tipi di danze, entrambe accompagnate da un peculiare ronzio emesso con l’addome e le ali.”

“Allora ronzano anche!” disse Patrick soddisfatto della sua conclusione. “E che danze fanno?”

“Fanno una danza tonda muovendosi e disegnando un cerchio. Questo significa che il nettare si trova a meno di cinquanta metri dall’alveare. È una danza semplice come per dire: <<non c’è bisogno di cercare troppo, uscite dall’alveare e vedrete!>>. A questo punto la bottinatrice dà il cibo che ha trovato alle sorelle che quindi riescono a capire anche che sapore e odore ha.”

“E se è lontano lontano?”

“Se è più lontano fanno una danza a otto!” disse l’anziano zoologo disegnando un otto nell’aria. “Lo fanno quando trovano dei fiori fino a duecento metri dall’alveare e a seconda di dove è diretta la danza dicono anche in che direzione devono volare per trovarli. Inoltre, a seconda di quanto dura la danza la bottinatrice dà informazioni precise sulla distanza. Più il cibo è distante e più dura la danza! Non è sorprendente?” Patrick iniziava a mostrare segni di cedimento. Non aveva ancora cenato e lo stomaco gli brontolava per la fame, il nonno, però, sembrava ormai preso dal racconto più del nipote. “Sì, probabilmente una danza più complessa significa un dispendio maggiore di energie ma anche un guadagno in termini di cibo! Come si dice: il gioco deve valere la candela! E poi…” l’anziano biologo fermò il suo flusso di coscienza nell’accorgersi che il nipotino si stava quasi per addormentare. Prese delicatamente il bimbo fra le braccia e, non curante della sua schiena dolorante, lo portò in cucina adagiandolo dolcemente sulla sua sedia riconoscibile per via dei tomi di zoologia che servivano al bambino per raggiungere il piatto sulla tavola. Lo scienziato e sua figlia si scambiarono un sorriso nel vedere quel piccolo esploratore semi-dormiente appollaiato su quella pila di alti libri.

“Ti è tornata la fame?” chiese la donna con premura al padre.

“Non ancora tesoro mio, ma credo che rimarrò qui qualche minuto per farvi compagnia.” E così dicendo si sedette accanto al piccolo Patrick e per un momento una scintilla di un antico fuoco sacro sembrava essersi riaccesa in quel dottore così stanco.

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