Noi tutti conosciamo gli pterosauri. Essi sono noti dalla maggior parte delle persone come “dinosauri volanti”, esseri primitivi che in qualche modo riuscivano a volare sopra le teste dei loro amici dinosauri, indifesi quando a terra e costretti a salire su un posto sopraelevato per prendere il volo.
Ma le cose non stanno proprio così.
Vediamo un po’, in base a dati scientifici aggiornati, come era il loro aspetto e che vita conducevano.
Chi sono gli Pterosauri?
Gli pterosauri sono stati per molto tempo animali dalle dubbie parentele con gli altri animali conosciuti. Essi furono associati ai mammiferi, ai lepidosauri e agli arcosauri.
Oggi, molte prove sono a sostegno del fatto che essi siano Arcosauri Ornitodiri, come i dinosauri. I loro parenti viventi più prossimi sono quindi gli uccelli.
Classificazione
Essi sono divisi in due gruppi: i non-pterodattiloidi e gli pterodattiloidi.
I non-pterodattiloidi non sono però un gruppo monofiletico poiché il loro antenato in comune corrisponde all’antenato di tutti gli pterosauri. Le loro caratteristiche in comune non sono apomorfie, ma sono le caratteristiche ancestrali degli pterosauri, cioè quelle che l’antenato di tutti gli pterosauri possedeva. Essi sono caratterizzati dall’avere code lunghe e quinte dita del piede allungate. Invece, gli pterodattiloidi, che sono un gruppo monofiletico, hanno code corte e quinte dita del piede corte. I non-pterodattiloidi vissero tra il Triassico e il Giurassico, mentre gli pterodattiloidi comparirono nel Giurassico e sopravvissero fino alla fine del Cretaceo, 66 milioni di anni fa.
Le ali
Le ossa dell’arto anteriore si sono notevolmente modificate per permettere il volo. Il quarto dito si è esteso a dismisura per dare lunghezza all’ala, mentre il quinto dito scompare; inoltre compare lo pteroide, un osso di origine incerta che serve a modificare la forma della parte anteriore dell’ala.
L’ala degli pterosauri è formata da un patagio, una membrana di pelle e altri tessuti. Il patagio è diviso in tre parti: il propatagio si estende anteriormente all’arto anteriore, tra i polsi e le spalle, e la sua estensione può essere regolata per mezzo dello pteroide; il brachiopatagio è la membrana più grande e si estende dal termine del quarto dito fino alle caviglie; infine l’uropatagio si estende tra le zampe posteriori. Negli non-pterodattiloidi, l’uropatagio è più esteso ed è sostenuto dal quinto dito del piede; invece, negli pterodattiloidi ha meno importanza, è meno esteso ed è diviso in due parti, una per ogni arto posteriore. Durante il volo il patagio era tenuto in tensione, oltre che con il quarto dito, anche grazie a delle strutture proteiche rigide e di forma bastoncellare poste nell’ala, chiamate actinofibrille.
Il volo
Il decollo avveniva a partire da una postura quadrupede, la stessa con cui camminavano.
Da fermi, dapprima spingevano con le zampe posteriori, sollevandole da terra. Dopodiché saltavano con le zampe anteriori. Infine, aprivano le ali alzandole sopra le spalle e cominciavano a batterle. Tutto ciò avveniva nel giro di circa un secondo.
Gli pterosauri, come gli odierni uccelli e pipistrelli, praticavano diverse tipologie di volo, in base alla forma della loro ala. Quelli con le ali relativamente più lunghe e appuntite avevano un volo con meno battiti d’ala, quindi più efficiente, ma meno manovrabile; quelli con le ali relativamente più corte e larghe avevano un volo più battuto e manovrabile.
Per quanto riguarda l’atterraggio, invece, mentre si avvicinavano al suolo, portavano in basso i piedi atterrando prima con essi, poi facevano un piccolo balzo e atterravano anche con gli arti anteriori.
La locomozione al suolo
Con la loro strana morfologia gli Pterosauri sono spesso stati considerati inadatti a muoversi sul suolo. Ma ci sono tracce fossili che testimoniano che essi lo facessero. Queste tracce mostrano che le zampe erano tenute quasi verticalmente sotto il corpo mentre camminavano. Essi muovevano prima gli arti di un lato e poi quelli dell’altro lato, come gli attuali cammelli e giraffe. Le dita della mano erano tenute in una direzione postero-laterale. Un’altra traccia mostra invece che durante la corsa essi tenevano gli arti anteriori in una postura semi-eretta. Ebbene sì, molti Pterosauri potevano anche correre.
Inoltre, molti pterosauri si nutrivano a terra; per questo dovevano essere quantomeno dei buoni camminatori per cercare il cibo senza utilizzare troppe energie.
C’erano però pterosauri che non erano molto adattati a muoversi sulla terraferma. Questo è il caso degli Pteranodontia, i quali avevano arti anteriori talmente lunghi e posteriori così corti da rendere la camminata descritta precedentemente molto inefficiente e lenta. Essi erano animali che si nutrivano prevalentemente in mare e che quindi avevano meno bisogno di camminare. Però è probabile che a terra deambulassero appoggiando prima le zampe anteriori contemporaneamente, poi sollevando le posteriori e portandosi ancora avanti con esse alzando, invece, le anteriori e ripetendo poi il ciclo. Un po’come ci muoviamo noi quando usiamo le stampelle. Infine, alcuni tra gli pterosauri più antichi, come Eudimorphodon, avevano probabilmente, una postura semi-eretta per quanto riguarda gli arti anteriori.
La dieta
Gli Pterosauri sono sempre stati pensati come rettili volanti che vagavano sulle acque degli oceani catturando pesci dalla superficie o, al massimo, tuffandosi per catturarli. Ma la realtà è che le loro abitudini erano molto più variegate di così.
Gli Pterosauri erano principalmente predatori. L’attività del volo richiedeva infatti molte energie che dovevano essere recuperate con cibo energetico. C’erano tuttavia delle eccezioni e anche tra i predatori, molti pterosauri si specializzavano per una particolare dieta.
Alcuni si nutrivano principalmente di pesce. Questo è il caso dei Rhamphorhyncini come Rhamphorhyncus, e degli Pteranodontia, che comprende pterosauri molto conosciuti, come Pteranodon e Ornitocheirus. Q
All’interno di quest’ultimo gruppo però, gli Istiodattilidi si sono nuovamente specializzati ad una vita terrestre e un certo numero di caratteri della loro anatomia li associa alla saprofagia.
Il gruppo degli Adzarchoidi era invece specializzato per nutrirsi al suolo di vertebrati di piccole o medie dimensioni, in modo simile a quello che fanno oggi le cicogne. Anche qui c’era però qualche eccezione: quella dei Tapejaridi, i quali oltre che di piccoli animali probabilmente si cibavano di semi e frutti; e quella degli Dsungaripteridi, che erano durofagi, e quindi si nutrivano di molluschi e crostacei.
Gli Anurognatidi erano invece volatori molto agili e sfruttavano questa loro abilità per catturare insetti volanti.
Ma l’adattamento più interessante si ritrova nel genere Pterodaustro: nella mascella inferiore aveva centinaia di denti a forma di ago che servivano a filtrare piccoli animali dall’acqua di ambienti palustri, in modo simile agli attuali fenicotteri. Dei gastroliti rinvenuti nel suo stomaco testimoniano che esso si nutriva di animali dal guscio duro, come piccoli crostacei.
I denti
Negli Pterosauri si assiste ad una tendenza ad una riduzione nel numero dei denti, e ad una semplificazione nella loro forma. I primi pterosauri avevano un gran numero di denti, ed in molti casi essi erano di forme diverse a seconda della regione della mascella considerata. Alcuni di essi, come i generi Eudimorphodon e Caviramus, avevano denti allungati nella parte anteriore, mentre nella parte posteriore delle mascelle avevano molti piccoli denti multicuspidati che possono ricordare a prima vista quelli dei mammiferi. Alcuni (Preondactylus, Eudimorphodon, Austriadactylus) avevano due lunghi denti circa a metà della mascella superiore, il cui utilizzo non si sa con certezza.
C’era in ogni caso una tendenza generale ad avere denti più lunghi nella parte anteriore e più corti nella parte posteriore delle mascelle.
Negli Pterodattiloidi, un gruppo, gli Archeopterodattiloidi, mantiene un buon numero di denti (un migliaio in totale in Pterodaustro); negli Eupterodattiloidi si assiste invece a cinque eventi indipendenti di perdita dei denti (Nyctosauridi, Pteranodontidi, Tapejaridi, Thalassodromidi e gruppo formato da Chayangopteridi e Azdarchidi), seguendo lo schema filogenetico di Andres e Myers del 2013.
La scomparsa dei denti ha evidentemente avuto successo negli Pterosauri più recenti e quindi aveva anche dei vantaggi, tra cui la maggiore versatilità della dieta e il più veloce adattamento a nicchie ecologiche nuove a causa della più veloce evoluzione del becco cheratinoso rispetto ai denti.
Si può notare una sorta di parallelismo con gli uccelli del Mesozoico, nei quali si assiste alla comparsa di forme senza denti, le quali sono le uniche a sopravvivere all’estinzione avvenuta alla fine del Cretaceo.
Il tegumento
Gli Pterosauri avevano vari tipi di tegumento, tra cui la pelle nuda, squame e piumaggio di varia complessità, oltre a coperture cornee che interessavano varie parti del loro corpo.
Inaspettatamente le squame, a differenza di molti altri Rettili, sono state ritrovate solo sotto i piedi degli Pterosauri, dove avevano probabilmente la funzione di cuscinetto.
Le dita, sia delle mani che dei piedi, avevano alle loro estremità artigli di cheratina. Tale copertura era presente anche sulle mascelle formando un becco.
Anche le creste potevano essere fatte di cheratina che fungeva da struttura portante, oppure, ricopriva il tessuto osseo sottostante.
Infine: il piumaggio. Gli Pterosauri hanno su gran parte del corpo una copertura filamentosa di densità e lunghezza variabile; i singoli filamenti sono conosciuti come picnofibre. Fino a poco tempo fa l’ipotesi preponderante era che queste picnofibre fossero un’acquisizione indipendente degli Pterosauri, rispetto alle piume dei dinosauri teropodi. Nel 2018 è però stato pubblicato uno studio con annesse descrizioni di due fossili di Pterosauri Anurognatidi in cui sono presenti quattro tipi di piume, di cui tre sono molto complesse, e simili a quelle dei dinosauri teropodi. Tale studio avvalora, quindi, un’altra ipotesi secondo cui le piume sarebbero un tratto ancestrale di Pterosauri e Dinosauri, e quindi l’antenato comune dei due gruppi ne sarebbe già stato in possesso.
La cresta
La cresta è sempre stata uno degli argomenti più discussi per gli Pterosauri; le discussioni riguardavano soprattutto la sua funzione. Le funzioni proposte sono state le più disparate: stabilizzatori per il volo, utilità nell’ancoraggio di muscoli, termoregolazione e molte altre. Se questi sono i vantaggi della presenza di una cresta non si spiega però la loro assenza in molte specie di Pterosauri o la loro evidente diversità all’interno della stessa specie.
Attualmente è ormai assodato che invece la funzione principale delle creste fosse quella comunicativa.
Si è visto che in alcune specie la cresta compare solo negli adulti, indicando che fosse importante per la riproduzione. Inoltre, in un fossile è stato preservato un bandeggio del colore della cresta, che suggerisce il suo utilizzo come display verso altri individui della stessa specie. Infine, in alcuni generi come Pteranodon, la cresta è più grande nei maschi che nelle femmine, mentre in altri come Darwinopterus, essa è presente solo nei maschi.
L’apparente importanza per la comunicazione fa presupporre che molti Pterosauri non vivessero solitari, ma bensì in gruppi in cui, in certe circostanze, avere una cresta grande e colorata portava vantaggi dal punto di vista della fitness.
Articolo di Gabriele La Grasta, leggete i suoi Racconti Bestiali!
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Fonti:
- “Pterosaurs: Natural History, Evolution, Anatomy”, Mark Witton, Princeton University Press, 2013
- “Scleromochlus taylori and the origin of dinosaur and pterosaurs”, Benton, 1999
- “Ichnological evidence for quadrupedal locomotion in pterodactyloid pterosaurs: Trackways from the Late Jurassic of Crayssac (southwestern France)”, Mazin et al., 2003
- “New morphological observations on Triassic pterosaurs”, Dalla Vecchia, 2003
- “Cranial Morphology of Pterodaustro Guinazui (Pterosauria: Pterodactyloidea) from the Lower Cretaceous of Argentina”, Chiappe et al., 2000
- “Lone Star Pterosaurs”, Andres & Myers, 2013
- “Pterosaur integumentary structures with complex feather-like branching”, Yang et al., 2018
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Model created by Susanne Henßen, Darmstadt, Germany. Foto: H. Zell, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons