Una delle analogie tutt’oggi esplicative su cosa sia il DNA barcoding la ritroviamo nel codice a barre dei prodotti che acquistiamo in negozio. Poter riconoscere ciascun organismo sulla base di codici univoci che ci permettono con poco sforzo di ottenere la giusta identificazione non ha prezzo (o quasi). Tale tecnica rientra tra i metodi più usati nella branca della biologia denominata sistematica molecolare
Nel 2003 Hebert e collaboratori, pubblicarono uno dei primissimi lavori, ancora oggi di riferimento, su quello che era l’idea iniziale di una delle tecniche molecolari innovative: il DNA barcoding. In questo lavoro si dimostrò come una porzione del gene mitocondriale codificante per la proteina citocromo ossidasi I (COI) fosse efficace nel discriminare specie appartenenti a 8 differenti phyla animali. Come un vero e proprio codice a barre ma formato da 4 lettere (i nucleotidi), la sequenza della COI di circa 600 basi porta potenzialmente ad un numero di combinazioni pari a 4 elevato alla 600. Le stime più larghe sul numero di specie viventi sono un numero di gran lunga inferiore al numero di combinazioni potenzialmente ottenibili usando già solo questo marcatore! Ovviamente essendo un gene codificante, è normale che ci siano delle limitazioni sul numero reale di combinazioni dettate dalle triplette. Nonostante la natura del marcatore, questo non è ad oggi uno dei barcoder più usati per gli animali.
Le numerosissime sequenze di ciascun lavoro scientifico vengono da anni inserite in grandi database online open access, per esempio Barcode of Life DataSystems (BOLD) e GenBank. Per farvi un esempio, BOLD nel 2019 conteneva circa 7 milioni di sequenze per un totale di quasi 300.000 specie formalmente descritte! Tuttavia, negli anni gli studi sul DNA barcoding sono cresciuti esponenzialmente e pian piano sempre più gruppi di organismi sono stati studiati facendo emergere una serie di problematiche non da poco sull’uso della tecnica.

Nei primi anni del 2000 si pensava che tale metodo sarebbe stato la schiacciata definitiva che avrebbe eliminato gli studi tassonomici tradizionali. Avete presente quelle persone felici di stare giorni chini nel loro studio con lenti sugli occhi ad osservare caratteristiche morfologiche che solo loro riescono a vedere? Ebbene queste figure, nonostante stiano diminuendo, sono ancora lontane dall’estinzione! Infatti, il pensiero che al momento il DNA barcoding possa soppiantare del tutto la tassonomia tradizionale è illusorio. Insomma, non è possibile pensare di descrivere nuove specie solo sulla base di una divergenza tra sequenze di uno o più marcatori. Perciò, è ancora richiesta l’esperienza dei tassonomi tradizionali che conoscono a fondo il gruppo di organismi in questione. Ciò che da anni si cerca di incoraggiare è la tassonomia integrata, ovvero un approccio multidisciplinare che combini dati indipendenti come la morfologia e l’anatomia, il molecolare, l’ecologia, l’etologia, la biogeografia ecc.
Ad oggi tale tecnica è molto utile quando si ha un campione biologico o ambientale (peli, feci, stadi larvali di invertebrati o anfibi, carcasse, campioni di matrici ambientali e così via) difficilmente riconducibili ad una specie o ad un preciso individuo. Amplificando il giusto marcatore molecolare dal DNA del nostro campione si potranno sfruttare le sequenze già registrate e validate nei database online e con molta probabilità troveremo un match con una specie già registrata!
Ma le applicazioni non finiscono qui e nei prossimi articoli scopriremo insieme casi emblematici e peculiari di questa metodica.
Fonti:
Hebert, P. D., Cywinska, A., Ball, S. L., & Dewaard, J. R. (2003). Biological identifications through DNA barcodes. Proceedings of the Royal Society of London. Series B: Biological Sciences, 270(1512), 313-321.
https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspb.2002.2218
Meiklejohn, K. A., Damaso, N., & Robertson, J. M. (2019). Assessment of BOLD and GenBank–Their accuracy and reliability for the identification of biological materials. PloS one, 14(6), e0217084.
https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0217084
Will, K. W., Mishler, B. D., & Wheeler, Q. D. (2005). The perils of DNA barcoding and the need for integrative taxonomy. Systematic biology, 54(5), 844-851.
https://academic.oup.com/sysbio/article/54/5/844/1632835
[Matteo]
Una risposta a "Che cos’è il DNA barcoding?"