Una delle più affascinanti tematiche che si sta diffondendo di più è allo stesso modo un problema per il pianeta: le plastiche. Ormai le plastiche sono diffuse in qualsiasi ecosistema, e possono esser trasferite dalla terra in acqua passando anche per l’aria. Negli ambienti acquatici, le macroplastiche possono degradarsi in piccoli frammenti chiamati microplastiche, che hanno un impatto diretto su biodiversità, ecosistemi, e salute umana
Le plastiche e le microplastiche rappresentano una problematica crescente molto diffusa oggigiorno. Tutti gli ecosistemi risultano esser contaminati dalle plastiche, dalla terra ai mari passando per i fiumi ma anche per l’atmosfera, tanto che si può parlare di un “ciclo della plastica”. Negli ecosistemi acquatici la maggior parte degli studi si è concentrata nell’ambiente marino, mentre le ricerche nelle acque interne sono solo di recente investigazione sebbene i fiumi siano considerati i principali vettori di rilascio di plastiche verso il mare (Lebreton et al. 2017).
Tra le plastiche, si riconoscono diverse tipologie in base alla loro grandezza. Infatti, Thompson et al. (2004) hanno coniato il termine microplastiche (MP), per la prima volta menzionate come particelle di plastica grandi < 5 mm. Però, diversi autori suggeriscono tuttavia che il termine microplastica deve rifarsi a qualsiasi oggetto distinguibile tramite il microscopio. Invece, le mesoplastiche indicano un oggetto che può esser identificato e ricorda un oggetto di dimensioni maggiori (macroplastica). Il termine “mesoplastiche” è stato introdotto da Andrady et al. (2011) per identificare gli oggetti compresi fra 1 e 5 mm riconosciuti ad occhio nudo. Infine, Lambert et al. (2014) hanno provato a classificare le plastiche secondo le loro dimensioni: le macroplastiche come oggetti maggiori di 5 mm, le mesoplastiche comprese fra ≤ 5 mm e > 1 mm, le microplastiche sono frammenti di plastica grandi tra 0.1 μm e 1 mm e, ed infine le nanoplastiche (NP) sono i frammenti di plastica più piccoli di 0.1 μm.
Le plastiche sono considerate uno dei tanti disturbi dell’Antropocene assieme a ceneri volatili, radionuclidi, metalli, pesticidi e gas serra: infatti i sedimenti in un lago formatosi di recente ad esempio differisce dai resti dell’Olocene e risulta in una transizione stratigrafica tra le due epoche.
Come detto sopra, le plastiche possono esser rinvenute sia sulla terraferma che in ambienti acquatici. Nonostante si conosca poco sugli effetti della plastica sul suolo e la terra, la plastica tende ad accumularsi in mari ed oceani passando per i fiumi. Una volta in acqua, la plastica sottoposta ad UV e all’azione meccanica di venti ed onde si suddivide in piccoli frammenti chiamati microplastiche. L’azione delle correnti e dei giri oceanici comporta la formazione di vere e proprie isole di rifiuti galleggianti – ormai nuove “case” per diversi organismi. La degradazione delle macroplastiche in microplastiche è dettata da fattori abiotici (es. onde marine, raggi solari, vento, etc) ma anche da fattori biotici (es. vari animali). In questo caso, dalla degradazione delle macroplastiche, si formano quelle che si chiamano microplastiche secondarie, derivanti dalla frammentazione delle macroplastiche. D’altra parte, esistono anche le microplastiche primarie, che sono plastiche sintetizzate dall’industria manifatturiera o da attività umane, come i prodotti cosmetici (scrubs).
In particolare, il processo di degradazione dei polimeri sintetici consta di diverse fasi (Fig.1). Tra queste, la degradazione fisica (forze abrasive, cambiamenti estremi di temperatura ed umidità, etc.) da inizio alla degradazione, assieme alla fotodegradazione tramite raggi solari, alla degradazione chimica (ossidazione od idrolisi) e alla biodegradazione da organismi (batteri, funghi, alghe).
Tra le diverse fonti, le MP possono entrare nell’ambiente con diversi pathways. Infatti, possono (i) passare tramite i depuratori, sia per uso personale di cosmetici o rilascio di fibre con la lavatrice durante il lavaggio di vestiti, oppure (ii) eventi di piena e traboccamento di acqua piovana, (iv) rilascio accidentale (ad es. durante l’usura dei pneumatici), (v) rilascio da prodotti o processi industriali e (vi) deposizione atmosferica di fibre.
Una volta formate, le MP possono avere diversi impatti negativi sugli ecosistemi acquatici, anche con ripercussioni verso la salute umana.
Fonti:
Andrady, A. L. (2011). Microplastics in the marine environment. Marine pollution bulletin, 62, 1596-1605.
de Sá, L. C., Oliveira, M., Ribeiro, F., Rocha, T. L., e Futter, M. N. (2018). Studies of the effects of microplastics on aquatic organisms: what do we know and where should we focus our efforts in the future? Science of the Total Environment, 645, 1029-1039.
Lambert, S., Sinclair, C., e Boxall, A. (2014). Occurrence, degradation, and effect of polymer-based materials in the environment. In Reviews of Environmental Contamination and Toxicology, 227, 1-53.
Lebreton, L. C., Van Der Zwet, J., Damsteeg, J. W., Slat, B., Andrady, A., & Reisser, J. (2017). River plastic emissions to the world’s oceans. Nature communications, 8(1), 1-10.
Thompson, R. C., Olsen, Y., Mitchell, R. P., Davis, A., Rowland, S. J., John, A. W., McGonigle, D., & Russell, A. E. (2004). Lost at sea: where is all the plastic?. Science(Washington), 304(5672), 838.
[Luca]
Immagine in evidenza: Radulf del Maresme, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons
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