Cos’ha un delfino in comune con Kim Kardashian?

I ricercatori di due Università danesi hanno di recente scoperto il meccanismo attraverso il quale gli odontoceti riescono a produrre suoni di ecolocalizzazione a grandi profondità con l’uso del sacco nasofaringeo

La laringalizzazione, o vocal fry, è il registro vocale più basso nel quale un essere umano può produrre suoni: le cartilagini della laringe si avvicinano andando a compattare le corde vocali con l’effetto di una voce grave (che vibra a basse frequenze) e scricchiolante; questa modulazione vocale dall’ uso sempre più comune tra i giovani statunitensi è spesso utilizzata anche da alcune celebrità come ad esempio Kim Kardashian.

Non tutti l’apprezzano: in uno studio pubblicato su Plos One, alcuni ricercatori della Duke University riferiscono che le donne che parlano nel registro del vocal fry vengono maggiormente percepite come meno competenti, con un livello di istruzione inferiore, meno affidabili, meno attraenti e con meno probabilità di essere assunte rispetto a donne che parlano nel registro normale.

E cosa c’entrano i delfini?
Sappiamo che gli odontoceti (cetacei dentati tra cui troviamo delfini, orche e capodogli) usano una grande varietà di suoni per ecolocalizzare le prede e per comunicare tra loro.
In un articolo pubblicato nella rivista Science, i ricercatori della University of Southern Denmark e dell’Aarhus University hanno riportato la scoperta del meccanismo attraverso il quale questi cetacei riescono a produrre i tipici ‘click’ di ecolocalizzazione a grandi profondità, e lo fanno nel registro del vocal fry!

Come tutti i cetacei (mammiferi adattati alla vita acquatica), gli odontoceti non sono provvisti di branchie e respirano attraverso i polmoni prima di immergersi: “a migliaia di metri di profondità la pressione dell’acqua è molto elevata e comprime l’aria nei polmoni fino a lasciare meno dell’1% di volume disponibile rispetto a quello che si ha in superficie”, spiega Peter Teglberg Madsen, docente di fisiologia all’Aarhus University e autore dell’articolo; l’aria viene quindi diretta ai muscoli e i polmoni vengono svuotati. Ma com’è possibile allora produrre suoni se nei polmoni non c’è aria da far passare attraverso la laringe?

I ricercatori hanno scoperto che, una volta sott’acqua, gli odontoceti sono in grado di spostare l’aria accumulata dai polmoni a una sacca presente nei loro nasi, il sacco nasofaringeo; spingendo quest’aria attraverso le membrane presenti nella sacca, le labbra foniche, questi animali riescono a produrre una modulazione analoga a quella che gli umani producono con la laringe.

Il risultato di questo processo sono dei ‘click’ con frequenze ultrasoniche che vengono usati dagli odontoceti per l’ecolocalizzazione: gli ultrasuoni rimbalzano sulle superfici che circondano gli animali e ritornano a loro fornendo importanti informazioni sulla conformazione dell’ambiente circostante e sull’eventuale presenza di prede.

Il modo in cui questi cetacei producessero suoni di ecolocalizzazione a grandi profondità è a lungo rimasto un grande interrogativo: “la mia motivazione ad approfondire la questione è stata soprattutto spinta da questo paradosso” racconta Madsen.

La consapevolezza che a vibrazioni e frequenze diverse corrispondono suoni di ecolocalizzazione e comunicazione diversi potrà adesso fornire una base fisiologica per la classificazione e la comprensione dei repertori vocali degli odontoceti.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...