La deforestazione, gli incendi e i cambiamenti climatici sono responsabili della trasformazione di alcune regioni della foresta tropicale dell’Amazzonia in regioni di savana. Uno studio pubblicato sulla rivista Science identifica i valori massimi di deforestazione e aumento della temperatura oltre i quali la foresta potrebbe trasformarsi in savana
Nella foresta tropicale dell’Amazzonia la vegetazione e il clima hanno una stretta relazione: le piante estraggono acqua dal suolo, la liberano nell’atmosfera con la traspirazione e, in seguito, l’acqua torna al suolo sotto forma di precipitazioni favorendo la crescita della foresta stessa.
È stato stimato che il 32% delle precipitazioni in Amazzonia si origina con questo processo che, alla fine della stagione secca, raggiunge picchi fino al 70%.
Inoltre, la densa volta favorisce un clima locale umido che previene gli incendi.
La deforestazione può rompere questo processo ciclico; infatti, la perdita di copertura arborea causata dalla deforestazione riduce la traspirazione delle piante e amplifica la siccità a livello locale, riducendo le precipitazioni. La foresta può allora evolvere verso uno stato di savana, dove l’ambiente erbaceo crea un clima locale secco e caldo in cui aumenta la frequenza degli incendi che, a loro volta, stabilizzano la savana e impediscono alla foresta di crescere.
In uno studio pubblicato sulla rivista Science, alcuni ricercatori della Stockholm University e del Potsdam Institute for Climate Impact Research hanno identificato i valori soglia oltre i quali la foresta potrebbe trasformarsi in savana: le previsioni indicano che se la deforestazione supererà il 60% del territorio forestale, la foresta tropicale potrebbe irreversibilmente passare a uno stato di savana mentre, per quanto riguarda la temperatura, il valore massimo di aumento calcolato per mantenere lo stato di foresta è di 3.5°C di media rispetto alla temperatura media preindustriale.
Nella realtà, in Amazzonia si trovano due stati alternativi: uno stato di savana con boschi caducifogli, arbusti e piante erbacee e uno stato di foresta tropicale con boschi sempreverdi.
Questa bimodalità, come abbiamo visto, è il risultato di processi che agiscono a livello locale: processi stabilizzatori consolidano gli stati alternativi fino a che, in risposta a perturbazioni come la deforestazione (tipping point), altri processi innescano la transizione da uno stato a un altro. I tipping point (punti critici o di non ritorno) sono dei valori soglia il cui superamento provoca un cambiamento spesso irreversibile nello stato di un ecosistema.
L’Amazzonia contiene 123±23 petagrammi (123 biliardi di grammi!) di carbonio e nel tempo ha funzionato come “pozzo” per le emissioni antropogeniche di CO2. A partire dagli anni ’70, a causa della deforestazione è stato perso il 17% della foresta con la conseguente liberazione del carbonio allocato nella biomassa ed effetti di negativi sul clima globale. Inoltre, la foresta tropicale dell’Amazzonia è casa di un’incredibile biodiversità che verrebbe drasticamente ridotta se grandi aree della foresta dovessero convertirsi in savana.
La gestione per la conservazione della selva dell’Amazzonia deve tener conto dell’importanza della diversità strutturale e funzionale della foresta e contrastare la deforestazione e gli incendi con interventi specifici.